Apertura di un Ambulatorio Sperimentale di Medicina Generale - Intervista ai Dottori Panajia e Mandolesi
Ambulatorio Sperimentale al Barco - Intervista
ai Dottori Agostino Panajia e Elisa Mandolesi
Membri della Campagna 2018 Primary Health Care Now or Never per la riforma delle cure primarie, incontriamo il Dott. Agostino Panajia e la Dott.ssa Elisa Mandolesi che hanno dato vita, nel quartiere Barco di Ferrara, al progetto “Ambulatorio sperimentale Julian Tudor Hart”, mirato a mettere in campo un modello di cure a attento al benessere della comunità,.. Si parte dall’assunto che, per garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale nel XXI secolo e la salute come diritto, si ritiene necessario adottare un modello innovativo, “Comprehensive”,di Cure Primarie, in una prospettiva di integrazione multiprofessionale e multisettoriale. La soluzione proposta è quella di valorizzare l’Assistenza Primaria alla luce degli attuali cambiamenti demografici, epidemiologici e sociali.
Link utili:
https://2018phc.wordpress.com/campagna/
D: Come è nato il progetto dell’Ambulatorio Sperimentale e perché?
EM: “Io e Agostino, in maniera anche un po' fortuita, siamo riusciti nel tempo a far convergere la nostra passione per il territorio e a collaborare per la creazione di un ambulatorio comune. Lavorare con colleghi con cui condividi valori e visioni è la base per un team che funzioni. Così il lavoro diventa molto più fluido e semplice.
Il nostro desiderio è quello di adottare un approccio di Medicina Generale basato sulla popolazione e sulla medicina d’iniziativa, prossimo ai contesti di vita delle persone e attento ai modi in cui i soggetti vivono. Siamo partiti dalla Medicina Generale per arrivare a studiare il territorio e le sue esigenze. Il punto di arrivo è un processo in divenire, perché dobbiamo continuamente chiederci , “Dove e a chi vogliamo arrivare?”. Il punto di partenza è sicuramente quello di radicare la Medicina Generale all’interno di uno specifico contesto territoriale; per far questo è necessario adottare un modello di Cure Primarie di tipo Comprehensive, cioè centrato sulla persona, sulle sue reti familiari e orientato alla comunità e ai determinanti di salute che in essa agiscono. Sono idee difficili da mettere in pratica perché bisogna conoscere a fondo la popolazione, coinvolgerla e provare a offrire risposte. Pian piano ci stiamo lavorando”.
AP: L’Università tratta poco la tematica della Medicina Generale e del Territorio, perciò molte delle conoscenze che abbiamo in merito derivano dalle esperienze post-laurea. In particolare, per noi è stato fondamentale il bagaglio culturale che abbiamo maturato all’interno di varie esperienze associative e in particolare all’interno della Campagna 2018 PHC Now or Never. Da qui nasce l’idea di mettere in piedi un percorso pratico (ma anche educativo) per dar vita a un modo di fare medicina del territorio un po' diverso dal consueto. Quello che ci ha spinti a farlo è la consapevolezza (solida, perché è da decenni che si discute di tale necessità) che oggi più che mai è necessario mettere in atto un cambio di paradigma, che si debba spostare l’attenzione dalla malattia alla salute, dalla sola dimensione curativa ad una dimensione promotiva e preventiva, dove i pazienti diventano soggetti attivi del processo di cura, attori del mantenimento e del miglioramento della propria salute. Queste idee ci hanno spinti a dire che dobbiamo fin da subito provare a perseguire tale cambiamento nell’attività che svolgiamo.”
D: Che tipo di cure primarie volete mettere in campo? Quali sono le strategie di lavoro che volete adottare?
EM: “La base dalla quale partiamo è quella della Medicina Generale, non la vogliamo stravolgere o sconvolgere. Desideriamo però investire maggiormente sull’educazione in salute, su temi quali, le malattie croniche,gli stili di vita sani e le nuove forme di vulnerabilità sociale, che non di rado si accompagnano a forme di disagio psicologico. Tutto questo richiede necessariamente di investire più tempo nella cura del paziente, perché la prevenzione richiede un lavoro maggiore rispetto a “curare la patologia quando si presenta”: significa infatti conoscere i pazienti e il contesto - anche relazionale - in cui vivono.
Si tratta dunque di un progetto ambizioso, che passa dal concetto di salute intesa non come assenza di malattia , ma come capacità di “realizzarsi e convivere con”: convivere ad esempio con le patologie croniche che tutti noi ereditiamo, si tratta di valutare le risorse, che i pazienti hanno e di valorizzarle per ottimizzare i loro stili di vita.
AP: L’orizzonte culturale è quello della Comprehensive Primary Health Care, cioè di cure primarie capaci di interagire con le variabili non solo biologiche, ma anche sociali, percettive, culturali, economiche, politiche che presiedono i processi salute-malattia. Si tratta di tentare uno sviluppo dell’esistente, perchè già adesso per esempio molto è stato fatto per tentare di andare in questa direzione. Penso per esempio all’istituzione delle Case della Salute, che tuttavia rischiano di restare una rivoluzione incompiuta, più vicina al vecchio paradigma centrato sull’erogazione dei servizi che non al nuovo centrato sulla promozione della salute delle comunità. La nostra idea si colloca all’interno di tale solco, di evoluzione e non di frattura con il modello delle Case della Salute. Le strategie che stiamo guardando con interesse sono quelle capaci di generare conoscenze centrate sui contesti locali e sulla prassi agite.
D: Cosa prevedete di realizzare per il futuro? Ci sarà anche un legame con l’Università?
AP: “ Al momento stiamo gettando le basi per tentare questo cambio di paradigma, anche se le dinamiche in gioco sono molte e siamo ancora all’inizio. Da una parte è necessario che la classica attività assistenziale vada avanti, ma dall’altra c’è tutta una serie di aspetti da esplorare e da attività da sperimentare. Questo diventa molto interessante, per esempio per chi vuol fare ricerca o formazione. Come dicevo, per prima cosa abbiamo pensato di immaginarci come un luogo, che non è limitato al nostro studio medico, ma è il territorio all’interno del quale il nostro ambulatorio è collocato e del quale rappresenta solo una piccola parte. E nel territorio così inteso ci sono davvero molti aspetti da esplorare, anche di pertinenza disciplinare diversa da quella medica, ma condividendo come area di interesse la salute. Abbiamo immaginato perciò di collocare il progetto in un territorio che abbiamo definito “di geo-educazione”. Già ci sono dei medici di medicina generale e di organizzazione che stanno seguendo con interesse il progetto, ma se uno studente o un ricercatore di una disciplina umanistica volesse fare un’indagine sul tema della salute, penso che gli spazi di ricerca siano tanti. Nel momento in cui usciamo dall’esclusivo studio del corpo e dalla dimensione biomedica, -riduzionista, le variabili in gioco i diventano molteplici
Martina Belluto, Dottoranda presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Ateneo ferrarese che sta studiando i possibili percorsi di tirocinio per gli studenti , aggiunge : “Sono in corso di definizione dei progetti di Tirocinio Curricolare. Stiamo cercando di capire con quali modalità e attraverso quali attività possono partecipare gli studenti di diversi Corsi di Laurea. In questa fase stiamo ancora programmando gli obiettivi formativi, ma l’idea è quella di partire appena possibile.
Articolo ed intervista di Chiara Laner